Le larve della tarma della cera digeriscono il polietilene. Carpire il loro segreto potrebbe aiutarci a ripulire l’ambiente dalla plastica
Da quando è stata inventata, 150 anni fa, la plastica è stata usata per produrre gran parte degli oggetti che ci circondano. È versatile e resistente ma (in gran parte) non biodegradabile, ed è la causa di un problema sempre più grave di inquinamento della terra e del mare. Come combattere questo problema? Qualche idea arriva oggi da uno studio pubblicato su Current Biology, dove i ricercatori raccontano di come le larve della tarma maggiore della cera (Galleria mellonella) possano riuscire a mangiare sacchetti di plastica e a digerirli, candidandosi a spazzini per ripulire l’ambiente dai rifiuti a base di plastica.
La tarma della cera prende il nome dal fatto che
le sue larve crescono negli alveari e normalmente si nutrono della cera
delle api. Mentre era impegnata a ripulire le sue arnie da questo
parassita, Federica Bertocchini, apicoltrice amatoriale e autrice dello studio, ha notato dei buchi
in un sacchetto di plastica in cui aveva riposto le larve, che fino a
poco prima era del tutto integro. Incuriosita dalla scoperta, ha chiesto
la collaborazione dei colleghi dell’Università di Cambridge, per verificare se questi bruchi fossero effettivamente capaci di mangiare la plastica.
Non è il primo caso in cui si testa un organismo
per le sue capacità di digerire la plastica, ma fino ad oggi gli studi
hanno riguardato soprattutto specie di batteri. Dalle analisi di Bertocchini e colleghi è emerso che le larve delle tarme della cera sono decine di volte più veloci a smaltire la plastica
di qualsiasi organismo studiato finora. La capacità di queste larve
potrebbe essere dovuta alla loro particolare dieta: “La cera è un
polimero, una sorta di ‘plastica naturale’, ed ha una struttura non
molto diversa da quella del polietilene [di cui sono fatti i sacchetti]”
spiega l’autrice dello studio
I ricercatori hanno anche prodotto un estratto dai
bruchi e l’hanno applicato sui sacchetti per capire se la plastica
fosse degradata anche senza che l’insetto la masticasse. Dai loro
risultati è emerso che i polimeri della plastica venivano effettivamente
digeriti e scomposti in molecole più semplici, e che la comparsa dei
buchi nei sacchetti non era solo dovuta a una frammentazione meccanica
ad opera delle mandibole delle larve.
Di polietilene sono fatti circa
il 40% degli oggetti di plastica utilizzati in Europa, dove più di un
terzo della plastica non viene riciclata. Non è ancora chiaro quale sia
la proteina capace di degradare la plastica, ma “Se un singolo enzima è
responsabile di questo processo chimico, la sua produzione su larga
scala con metodi biotecnologici dovrebbe essere fattibile” spiega Paolo Bombelli,
coautore dello studio, “e potrebbe diventare uno strumento importante
per smaltire la plastica che si è accumulata negli oceani e nelle
discariche”.