"Leo doveva essere alto circa 3/4 metri"
Probabili impronte fossili sono
state scoperte a Resera di Tarzo, provincia di Treviso, l’Artista e
Bibliotecario del paese Lucio Tarzariol racconta: “Ho sentito parlare in paese
di una leggendaInnanzitutto è importante
sottolineare che se accertata, questa scoperta avrebbe importanza,
internazionalità erarità In quanto fino a poco tempo fa si credeva che in
Italia i dinosauri non fossero mai esistiti. Infatti, si pensava cheil nostro
paese nel periodo mesozoico, fosse sotto il livello del mare. Ma in tempi più recenti
le cose sono cambiate, per l’appunto,visti i molti ritrovamenti, come il
nostro, che ormai minano questa errata supposizione. Infatti, in tutta la
penisola si sono fatti ritrovamenti e scoperte impronte di piccoli e grandi
rettili Sauropodi, Ceratopsidi, Iguanodonti, Anchilosauri, tetrapodi ornitopodi
come quelle di Altamura risalenti al Cretacico Santoniano e altre in la Spezia,
le ossa di “Tito” nei pressi di Roma epiù vicino a noi, nella dolomia del
Trentino, dove io stesso trovai impronte fossili sparse in prossimità del Pelmetto
dove esiste tra l’altro un sentiero che porta su una grande lastra, evidenziata
da un vecchio crollo, dove sono visibili orme di dinosauri riferibili al periodo Trias
superiore, circa 220 milioni di anni, nello specifico cinque tracce disposte in
varie direzioni riferibili a tre tipi di animali che si reggevano su due zampe
e raggiungevano un'altezza variabile dagli 80 centimetri ai 3 metri. Ora bisognerebbe approfondire questa mia
ipotesi, cercando e datando i molluschi e altre “orme” che ho trovato in zona,
cosa che mi propongo di fare prossimamente, intanto per i più curiosi, tra
qualche giorno posterò nel mio blog “artealiena” un video che ho fatto sul
posto.
Tarzariol Lucio
Sopra foto di Lucio Tarzariol nel luogo del
ritrovamento delle orme fossili
VIDEO
Milioni di anni
fa qui a Tarzo
L’Ambiente ai tempi
di “Leo” era molto diverso e riusciremmo a descriverne i particolari solo con
la datazione dei molluschi ed i calchi delle impronte, come del resto è
avvenuto per il ritrovamento delle orme del Pelmetto dove viveva nel fango di
220 milioni di anni fa il megalodonte bivalve marino. Probabilmente rocce più antiche di origine dolomitica si sono riversate anche a Tarzo geologicamente più recente, magari scivolando lungo i ghiacciai che le hanno trasportate. Ma che dire, per ora accontentiamoci
di una succinta descrizione che ci giunge dal testo: La geologia del bacino montano del
Tagliamento, dagli antichi oceani alle montagne d’oggi di A. Zanferrari del
Dipartimento di Georisorse e Territorio, Università di Udine, dove leggiamo: “…Nella
catena alpina: nella zona di “incastro crostale” si formò un altro sistema di sovrascorrimenti
e un’altra avanfossa che migrarono stavolta verso sud-est. E’ il sistema
catena-avanfossa della catena
sud alpina orientale, quella in cui viviamo, dovuta all’evento tettonico
neoalpino, complessivamente dal Miocene
inferiore ad oggi. La trasgressione miocenica portò il mare ad avanzare fino a
coprire quasi completamente l’area carnico-dolomitica. La sedimentazione fu in
massima parte di tipo terrigeno (ovvero con materiali provenienti da terre
emerse in erosione) e si depositarono soprattutto sabbie e fanghi, talora anche
ghiaie, ad opera di antichi fiumi che inizialmente sfociavano nella parte più
settentrionale e in quella orientale del bacino del Tagliamento provenendo da
nord e da est. Le varie formazioni del Miocene inferiore e medio sono state
battezzate con nomi di località dell’area prealpina bellunese, trevigiana e
carnica, dove le rocce sono ancora conservate e sono state studiate: Arenaria di
Preplans, Marna di Bolago,
Arenaria
di S. Gregorio, Calcarenite del monte Baldo, Marna di Tarzo,
tutte con spessori di alcune centinaia di metri al massimo [Stefani, 1984;
Massari et
alii, 1986]. Assieme alle altre unità mioceniche esse affiorano solo
nelle ultime colline del bacino, alla confluenza tra torrente Arzino e
Tagliamento e a Ragogna e Susans, oltre che in piccoli lembi
presso Peonis e
Trasaghis e alla base dei colli di Osoppo. Viceversa, le rocce mioceniche sono,
ovviamente, conservate nella loro interezza nel sottosuolo della pianura
friulana, dove le indagini geofisiche eseguite per la ricerca di idrocarburi
hanno consentito di ricostruirne anche l’architettura sedimentaria [Fantoni et alii,
2002].
Dal Miocene medio,
con la nascita e la propagazione dei sovrascorrimenti nell’area del bacino, le
aree emerse si
estesero verso meridione
e quindi cambiò la composizione petrografica delle sabbie e delle ghiaie, che
da
prevalentemente
quarzose (di provenienza alpina) diventarono calcareo-dolomitiche [Stefani,
1987]: è la prova che ormai comincia a configurarsi il bacino del (Paleo)-Tagliamento
almeno nei settori centro-settentrionali e che là, dove ora sono spariti, erano
in erosione i calcari e le dolomie delle piattaforme mesozoiche. Arriviamo così
alla fine di questa composita e fondamentale settima immagine: un’accelerazione
dei movimenti di convergenza tra le placche durante il Miocene superiore
(Tortoniano e Messiniano, 11,6 – 5,3 Ma) fece avanzare rapidamente il sistema
catena-avanfossa sudalpino e i sovrascorrimenti arrivarono a deformare e a
sollevare le rocce nell’area prealpina. L’intensità dei processi erosivi fu
tale da produrre accumuli di 1.200-1.600 m di sabbie prevalentemente
carbonatiche (Arenaria
di Vittorio Veneto del Tortoniano) e di ghiaie prima
di delta-conoide e infine di piana alluvionale con corsi d’acqua a canali
intrecciati, proprio come nell’attuale alta pianura del Tagliamento (Conglomerato del
Montello del Tortoniano
superiore-Messiniano)”.
Lucio Tarzariol