L'inserimento in orbita era la fase più delicata finora, per molti motivi. Il primo è che non erano ammessi sbagli, se il motore non si fosse acceso per rallentare la folle corsa di Juno (oltre i 200 mila chilometri all'ora) o se si fosse acceso per un tempo non sufficiente, la sonda della Nasa sarebbe sfuggita alla pur immensa attrazione gravitazionale di Giove e avrebbe cominciato una lunga odissea per il Sistema solare senza possibilità di tornare di nuovo sul suo obiettivo.
Venti minuti era il tempo minimo di "burn" (la frenata) per rimanere nell'orbita, 35 minuti avrebbero assicurato l'orbita perfetta. E così è stato. Ora Juno si sta allontanando da Giove, tornerà a scrutarlo da vicino alla fine di agosto, completando così la prima rivoluzione attorno al gigante gassoso, questa volta però con tutti i sensori accesi (compresa la JunoCam che ci regalerà immagini mozzafiato) per inviare a Terra informazioni preziose sul pianeta più massiccio del Sistema solare. La strumentazione era stata spenta circa cinque giorni prima dell'arrivo e sarà riattivata 50 ore dopo l'avvenuto inserimento in orbita. Per questo non ci sono immagini della manovra da brividi compiuta oggi.
Le preoccupazioni per il successo della manovra erano legate anche all'ambiente davvero estremo che Juno si è trovata ad attraversare. Alla Nasa nessuno avrebbe saputo prevedere con certezza gli effetti che il potentissimo campo magnetico e soprattutto le radiazioni avrebbero avuto sulla sonda. Sembra invece che tutto sia andato come da programma, lo speciale scudo per proteggere la strumentazione (grosso come un Suv) ha quindi fatto il suo dovere. I dati della telemetria ricevuti dalle antenne del Deep space network della Nasa (in Australia e in California) e analizzati dal Jpl e dal Juno operation center della Lockheed Martin in Colorado lo hanno confermato. E ora l'attesa è per i risultati scientifici delle osservazioni.
La seconda fase critica riguardava i pannelli solari, ma anche questa è andata a buon fine. Per frenare nella giusta direzione Juno (la prima sonda ad arrivare così lontana alimentata solamente a energia solare) aveva dovuto ruotare e le sue ali non guardavano più direttamente il Sole. Manovrando per alcune ore solo con la propria batteria. Dopo aver eseguito correttamente il 'burn' Juno si è dunque voltata di nuovo verso il Sole e così rimarrà da qui a febbraio 2018, per tutti i 20 mesi previsti per la durata della missione.