Vittorio Veneto e le sue origini
A cura di Lucio Tarzariol da
Castello Roganzuolo
“I Meschet” di Vittorio Veneto,
dipinto di Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo 100x80, intonachino
Quando
parliamo di Vittorio Veneto, in altri termini ci dobbiamo riferire a Serravalle
e Ceneda. Serravalle, o meglio l'antica “Castrum”, è un complesso fortificato
medioevale probabilmente di origine romana che fu ricostruito dai Da Camino nel
XIII secolo ed ospitò poi i Podestà della Repubblica di Venezia..
La vicina Ceneda, l'antica "Keneta",
probabilmente di origine celtica, fu nominata come città già dallo storico
Agathias nel IV secolo d.C., fu probabilmente sede di una
"praefectura" dipendente da Oderzo, quindi un insediamento di retrovia
nella fase espansiva della Roma del primo secolo d.C.. Questo centro fu
comunque dotato quasi sicuramente di edifici pubblici, di una zona produttiva
lungo il Meschio, di un bagno pubblico e forse di un teatro, localizzabili nei
pressi dell'attuale Duomo.
Sulla sommità del retrostante colle di San
Paolo, su un preesistente castelliere paleoveneto, era localizzato, come
testimoniano tracce di un pavimento musivo, il ridotto difensivo ovvero
l’"arx" romana.
Ceneda, era comunque parte di quella terra che
diventerà l'antica diocesi di Opitergium; i cui territori veneti nella
suddivisione italica in epoca augustea appartenevano alla X Regio della tribù
Papiria. Infatti Plinio e Tolomeo ascrivono Belluno, Oderzo e Feltre a questa
Regio; nel 43 a.C. Augusto, riorganizzando i domini romani, suddivise la
penisola in 11 regioni e “le Venezie” formarono per l’appunto la decima regio.
Da alcune documentazioni si rileva che
"l'Agro Opitergino" è un territorio confinante a Nord con il Feltrino
ed il Bellunese, ad Est con Concordia e Aquileia, a Ovest con Asolo e
l'Altinate e a Sud con il Mare; del resto è logico che con la realizzazione
della Postumia Oderzo ebbe ulteriori spazi a nord; e ancora di più li ebbe con
la realizzazione della Claudia Augusta Altinate, iniziata già dal generale
romano Druso, che sottomise le popolazioni alpine e danubiane nel I secolo
d.C.; successivamente la via fu completata dal figlio di Druso, l’Imperatore
Claudio, verso la metà del secolo. Lo confermano indiscutibilmente due pietre miliari:
un cippo di Rablà/Rabland, rinvenuto nel 1552 nei pressi di Merano (BZ), e ora
conservato presso il Museo Civico di Bolzano, e un altro cippo con la stessa
iscrizione rinvenuto nel 1786 a Cesiomaggiore presso Feltre (BL), e conservato
in loco presso la settecentesca Villa Tauro alle Centenère, la cui iscrizione
ci dice:
Ti[berius] Claudius Drusi f[ilius]
Caesar Augustus Germa
nicuspontifexmaxu
mustribuniciapotesta
te VI co[n]s[ul] IV imp[erator] XI p[ater] p[atrie]
censorviamClaudiam
AugustamquamDrusus
pater Alpibus bello pate
factisderex[e]ratmunit ab
Altino usque ad flumen
Danuvium m[ilia] p[assuum] CCCL
Così tradotto: “Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, figlio di Druso, pontefice
massimo, insignito della tribuniciapotestas per la sesta volta, console per la
quarta, imperatore per l'undicesima, padre della patria, censore, la Via
Claudia Augusta, che il padre Druso, aperte le Alpi con la guerra, aveva
tracciato, munì da Altino fino al fiume Danubio per miglia CCCL”.
Luigi Marson in “Romanità e divisione
dell’agro cenetense” 1904, pag. 71, ricorda che a Ceneda furono “rinvenute dei tempi romani, tombe, cippi, lapidi e altri
oggetti, tra cui una pietra che servì di muratura sepolcrale rinvenuta ai
Zambòn, negli scavi della ferrovia nel 1879, con epigrafe dell’imperatore
Claudio e colla distanza da Roma, e ora - afferma il Marson - si può vedere affissa esternamente sul muro
della casa dott. F. Pancotto”, ex casa dott. Carlo Graziani.
Diviene perciò logico pensare che già in epoca
romana esistessero lungo il confine delle postazioni strategiche di vigilanza e
segnalazione per le retrovie, per l'appunto "torri di guardia", come
le tre fortezze di Revine Castel Maor sito nel “Pra de Palath”, Salt del Casin
con la sua tipica base rastremata romana sito sopra S. Francesco, il Castello
di Monte Frascon, e molte altre rocche del circondario come quelle di S.
Augusta e quella S. Floriano dove sulla facciata di settentrione si possono
scorgere addirittura mattoni romani timbrati OF, come ci ricorda il Vital in
“Romanita nel territorio di Conegliano” pag. 40; inoltre anche il Marson nella
sua “Guida di Vittorio”, pag. 34, a conferma, ci parla anche del ritrovamento
di alcune monete dell’Imperatore Vespasiano proprio alla base della torre.
Queste terre erano indubbiamente percorse dai
Romani; una notizia che ci giunge da Marco Anneo LucanoCordova
di Roma nel 65 d.C., afferma che Cesare nel 46 a. C., vincitore a Farsalo,
assegnò agli opitergini alleati contro Pompeo ben 300 centurie di terreno, di
circa 150 Kmq verso le montagne.
Quanto detto viene chiaramente confermato
molto più tardi anche nell’Agri
TarvisiniDescriptio del 1583 da Giovanni Pinadello: "Viene Uderzo per lo più
da i scrittori antichi chiamato latinamente Opitergium, come si vede in Plinio
nel 18 capo del terzo libro, che lo ripone nei mediterranei della Regione
Veneta per essere sino allora atterrata la lacunada quella parte; parimente da
Tolomeo nelle sue tavole geografiche viene posto dentro a’ terra con l’istesso
nome et ne l’istessa provincia. Cornelio Tacito parimente cosi lo nomina nel
19° libro dell’Historie. Ma Strabone poi come io credo con Fr.
Leandro lo chiama Epiterpum, ingannandosi per aventura l’Ortelio dicendo che
Epiterpo da Strabone nominato fosse dentro le paludi di Ravenna. Che questa
città fosse a’tempi antichi nel lito del mare et che tenesse armata di mare ne
fa amplo testimonio Lucano nella “Guerra Farsalica”, Cesare ne’ suoi “Commentarii” et
Lucio Floro ne gli “Epitomi”, appresso
i quali si ha, che nella guerra civile tra Cesare et Pompeio, havendo gl’opitergini mandate le loro navi con mille
huomeni in aiuto di Cesare, et andando le cose molto prospere a Pompeio,
volsero più tosto ch’andar nelle mani di Pompeo da se stessi uccidersi. Giace
hora Uderzo tra la Piave et la Livenza lungi dal mare circa dodici miglia, per
la più breve, se bene Fr. Leandro dice più di 30 et è discosto da Trivigi per
Garbino circa 13 miglia (standogli Trivigi quasi per apunto dalla parte di
Garbino, cioè giustamente tra mezo dì et ponente). Da Venetia poi che è posta
al mezo dì nell’istesso meridiano si discosta sino 22 miglia, le quali crescono
poi alquanto nel far il viaggio. Et è bagnato dal fiume Montegano, detto da Fr.
Leandro Mutego, che discendendo da i colli di Ceneda va a sboccare nella
Livenza alla Motta. Ha patito tante calamità Uderzo, che non è meraviglia
s’hoggidì è ridotto in picciola terra: perché come alcuni scrittori dicono fu
egli prima rovinato da Pompeiani nellaguerra con Cesare, dal qual Cesare fu poi
ristorato, et assignatogli le sue confine tra i fiumi Piave et Taiamento et tra
i monti che furono detti Opitergini (l’autore si riferisce ai montes
opitergini ciati da Plinio), et il mare, et da quel tempo in qua fu
governato da prefetti cesarei sino alla venuta d’Attila in Italia, che lo prese
et distrusse del 453.
Basilio Sartori nel suo libro “La Valle
Lapisina, tra storia e leggenda”, pag. 29, a ragione, sostiene che i Romani per
rendere sicuri i passi alpini orientali nel 181 a.C. fondarono Aquileia, non
dimenticando i valichi delle Prealpi cenedesi, altrettanto vitali per la
sicurezza della regione e delle grandi vie di comunicazione, e, per garantirsi
l’aiuto di Roma contro i “nemici della
montagna”, i Veneti parteciparono alla lotta contro Cartagine, la
soccorsero durante l’invasione dei Galli, diedero per l'appunto, una mano a
Cesare contro Pompeo, che pur impegnato a fondo nella campagna delle Galie,
aveva distolto una delle sue prestigiose legioni per inviarla in loro soccorso.
Io credo si possa ipotizzare che
Cesare Augusto sia stato probabilmente colui che fece costruire le prime
fortificazioni romane intorno al 15 a.C. per controllare le popolazioni ostili
del Norico, cioè del Cadore, e fu ciò che portò all'espansione dell'agro
opitergino, tanto che verso il 20- 30 d.C. l’imperatore ampliò addirittura il
presidio militare cenedese allargandolo di lato per un quadrato di circa 10 Km,
che aveva per angoli attorno Ceneda i paesi di Fregona, Tarzo, Conegliano e
Cordignano, uniti tra loro dalla "centuriazione claudia", che originò
successivamente, per l'appunto, “l'agro cenedese”. Basilio Sartori azzarda
ipotizzare la costruzione delle prime fortificazioni di Serravalle addirittura
al tempo di Giulio Cesare, intorno al 46 a.C., mentre vede il “Castrum” sorgere
più tardi in difesa di Ceneda, al tempo di Ottaviano Augusto, tra il 15 e l’8
a.C., quando mandò i suoi generali Druso e Tiberio a sottomettere
definitivamente a Roma le genti alpine. Infatti, è anche vero che il Marson in
“Romanità e divisione dell’agro cenetense”, parla di ritrovamenti di monete a
partire dal tempo di Cesare a quello degli ultimi Imperatori.
versi
seguenti dell’Agri
TarvisiniDescriptio di Giovanni Pinadello: "Ha Serravalle il territorio molto
ameno et fertile compartito in pianura e in collina, che produce in abbondanza
formento, vino, oglio delicato, et frutti d'ogni sorte, et vi sono in esso
molti laghetti di chiare acque, ch'apportano diletto et utile per i pesci che
vi si pescano, si come si fa ancora nel fiume Meschio che ne produce d'ottimi.
Et sono in questo
territorio 16 ville et luoghi soggetti sotto il reggimento di Serravalle, cioè
Lago, Vizza, Fadale, Fais, Rindola, S. Martino, Pinadello, Gai, Castel, S.
Fior, Capella, Usigo, Danzan, Fregona già buon castello et feudo del vesc. di
Ceneda."
Citando poi Ceneda del suo tempo riferisce: “Il
territorio hora soggetto a Ceneda è di 14 miglia di circuito et è molto ameno
ed abondante di formento e d’ogni sorte de frutti, et contiene dentro di se
queste cinque ville cioè S. Giacomo, Carpesega, Cozzuolo, S. Lorenzo e Ruine et
oltre di ciò è soggetto nel temporale all’istesso vescovo il contado di
Tarzo….”.
Riferendosi alle antiche fortezze sulle cime
circostanti scrive:
"Serravalle è buona terra due miglia sopra Ceneda nei
confini del Bellunese, che gli sta da tramontana et del Friuli, che
dall'oriente lo risguarda. Questa terra doppo le venute che fecero le straniere
nationi de’ Gothi, Ongheri et Longobardi nel Friuli et nella regione Veneta, fu
edificata fra due monti nel fondo della valle che viene da essa serrata et
chiusa dicendosi per ciò Serravalle, sopra i quali due monti furono già alcune
rocche o fortezze et torri, per salvezza de' paesani ne' bisogni che hoggidì
sono rovinate".
Questa città
afferma detto Cinthio, che fosse edificata da i populi latini, che vennero con
le colonie, mandatevi dal senato romano ad instantia degl'ambasciatori
aquileiesi sotto il triumvirato di Tito Annio Lusco, Pub. Decio Subulo et M.
Cornelio Ceteo. Fu prima questa città sotto l'Impero Romano, et fu una volta
dominata da Marcello romano capitano de cavalli imperiali, ch'era conte di essa
et insieme di Feltre e di Belluno; ma alla venuta d’Attila in Italia, che
distrusse Aquileia et tutta quasi la provincia di Venetia del 453, alcuni
vogliono che Veneda fosse ben danneggiata da gl'Hunni, ma non altrimenti
distrutta, altri vogliono poi ch'ella fosse con l'altre città distrutta et che
ritornata in esser fosse poi un'altra volta da Totila, overo dal padre d'esso,
habitando l'uno et l'altro in Trevigi, rovinata.
A tal proposito mi sento di collegare ai
ricordi diCinthio un appunto del Marson a pag. 73 di “Romanità e
divisione dell’agro cenetense”, dove parla di un’iscrizione romana d’un certo
Marcello letta in una lapide trovata, per l’appunto, nella Via di Anzano e
illustrata dal Carnielutti.
Con l’avvento della giurisdizione aquileiese,
il territorio ad essa attribuito comprendeva una ventina di vescovadi in Italia
ed un'altra decina oltre le Alpi. Durante il V secolo, Alarico cinse d'assedio
Aquileia per ben due volte 401-402 e 408 ed Attila la saccheggiò nel 452.
Alla
discesa dei Goti le nostre terre non rimasero indenni, infatti, ad esse è
legata la leggenda della martire serravallese S. Augusta, il cui culto fu
ufficializzato solamente nel 1754.
Augusta era la figlia di Matrucco, condottiero
al seguito di Alarico re dei Visigoti, Odi Manducco, padre di Totila, per
altri, invece, era al seguito dell'ostrogoto Teodorico.
La leggenda rievoca nell’immaginario gli
antichi eventi e le contese che vi possono essere stati allora tra i signori
dei castelli; infatti, non a caso il Castello di Catena Amor sembra dominare
strategicamente il Marcatone, la collina di Santa Augusta e di conseguenza “il
castello di re Madre” che appariva frontalmente innanzi il muraglione del
castello che tutt'ora resiste alla rovina.
Le prime notizie comunque sono solo delle citazioni,
infatti, in un manoscritto del 1234 viene citato il “Mons Sanctae
Augusta”, il che fa ipotizzare che questo toponimo fosse già usato da tempo
dalle popolazioni locali, inoltre nello statuto serreavallese del 1360 si dice che il santuario di santa Augusta ed il suo
culto vantano origini antichissime ed è in quello stesso periodo che fu
rinvenuta un’arca lapidea con le ossa della martire.
Più dettagliate notizie furono redatte solo
intorno al XVI secolo da Minuccio de’ Minucci di Serravalle, segretario di papa
Clemente VIII (1592-1605); le stesse furono inserite nel vol. VII dell’edizione
dei volumi “De Probatis Sanctorum Historiis” di Lorenzo Surio, certosino e
agiografo tedesco (1522-1578) stampata a Colonia in Germania.
Il testo "Vita di Santa Augusta"
edito nel 1550,
basato per l’appunto su un testo precedente, fu ripreso nel 1754 da un certo
Andrea della stessa casata; entrambi sostengono che Santa Augusta fosse figlia
del capo goto Matrucco, che secondo lo storico Graziani sta per “Mand-Huk”, che significherebbe capo
del popolo; egli, dopo aver conquistato e sottomesso tutto il Friuli, giunto
nei pressi dell'attuale Vittorio Veneto
al seguito di Alarico, nel 410 si stabilì su un colle, il
Marcantone, sul quale fece costruire un castello e da lì iniziò a perseguitare
i cristiani della vicina Ceneda. Infatti, in quel periodo, è noto che nel
Cenedese esistessero alcune chiese cattoliche, dato che ne sono stati trovati
dei resti, e probabilmente sono le stesse chiese che furono frequentate, come
dice il Minucci, da Augusta.
Re Matrucco sospettando che sua figlia fosse
stata iniziata al cristianesimo dalla sua balia Cita e constatato che
frequentava assiduamente la chiesa, la interrogò a riguardo, ma visto che lei
si ostinava a difendere la sua fede senza indugio, la fece imprigionare per un
certo periodo. In seguito le chiese se avesse cambiato idea, ma avendo lei
negato le fece strappare due denti e la rinchiuse di nuovo in prigione,
aspettando che si arrendesse alle torture e tornasse alla religione dei suoi
avi. Dopo un certo tempo re Matrucco, vista la tenacia e l’ostinazione della
figlia che non si piegava al suo volere, prese la decisione di bruciarla viva,
ma, secondo la tradizione, ella uscì dalle fiamme illesa, cosicché si narra che
venne legata ad una ruota e fatta rotolare da una collina. Rimase ancora illesa
e, non avendo riscontrato ferita alcuna, fu barbaramente decapitata. Non si
conosce la data precisa della sua morte, si accenna all'anno 410, ma secondo Andrea Minucci tale data non pare affatto
attendibile, infatti fa riferimento solo ad una pietra seicentesca posta sul
santuario della santa.
Non bisogna dimenticare che questa Santa fu
chiamata anche “Augusta da Ceneda”, ed etimologicamente non a caso ricorda il
nome Augusto/a che significa “consacrato”; esso fu anche un nome comune usato spesso
per onorare l’imperatore romano Augusto; come lo è per l’appunto l’antica “Via
Claudia Augusta Altinate” che partiva da Altino (VE) ed incrociava la Postumia,
anch'essa una Via romana che traversa Treviso nord, risaliva la riva sinistra
del fiume Piave nei pressi di Susegana, passava sotto San Gallo, prendeva la
valle del fiume Soligo e raggiungeva Follina e poi i nostri passi per la
Valbelluna.
Curiosa anche la teoria del Marson, sempre in
“Romanità e divisione dell’agro cenetense”, che a pag. 72/73, ricordando le
similarità con S. Casilda e il culto della Dea Bona, probabile reminiscenza del
culto di Marte e di S. Martino, il noto centurione di Costantino, sostiene un
influsso romano sul culto paleoveneto di una divinità agreste, la ricorrenza della
festa coinciderebbe con l’antico ingresso del sole nella costellazione della
Vergine, nel mese che assume il nome da Augusto, sotto il quale potrebbe
essersi regolata la festa, ed è naturalmente provato che in quel tempo stesse
avvenendo una transizione dal culto pagano al culto cristiano.
Dopo le devastazioni di Attila e dei suoi
Unni, la responsabilità di assicurare lo sviluppo civile e culturale di
Aquileia venne assunto dalla Chiesa. Successivamente vi passò Teodorico e, nel
489, ci fu la battaglia con Odoacre. Seguirono l'occupazione bizantina nel 552.
Nel lungo periodo di queste invasioni
barbariche, Ceneda è più volte conquistata, ma mai definitivamente distrutta,
soprattutto per la sua posizione strategica che diventa spesso rifugio e sede
stabile degli stessi invasori. Già fortificata da Teodorico, fu poi piazzaforte
avanzata dei Franchi attestati sulle Alpi nel VI secolo ed è a questo punto,
secondo lo storico Agathias, che il loro re Leutari muore di malattia proprio
nel suo castrum di Ceneda nel 553.
Le fortificazioni romane, comprese quelle di
Revine, costruite a catena prima per uno stesso sistema difensivo, con l’arrivo
dei barbari si trovarono in contrapposizione e ben presto la resistenza
bizantina nelle rocche del M. Frascon dovettero tener testa anche ai Longobardi
di Alboino, scesi nel 568 a occupare Ceneda, Feltre e Belluno. Ci riuscirono
per più di 30 anni, anche perché versarono loro un tributo annuo in oro.
Il popolo longobardo, che era già conosciuto
dai Romani al tempo di Augusto e Tiberio 5 d.C., come ci ricordano le
narrazioni di VelleioPatercolo (storico romano degli inizi del I. sec. d.C.),
senza grandi strategie scese in Italia consapevole che gli italici non erano
contenti dei Bizantini per le esose gabelle dei loro funzionari. I Longobardi
inoltre sapevano che la milizia bizantina era scarsa, non poteva opporsi ad una
vera invasione e per natura quei pochi Ostrogoti rimasti, essendo in fondo
germanici come loro, si sarebbero uniti contro i Bizantini.
I Longobardi tra il 568 ed il 773 stabiliscono
nelle terre acquisite un Ducato che va dal Piave al Tagliamento; infatti, nel
639, a completare la conquista veneta dei Longobardi, anche Zumelle, Mel,
Serravalle e Revine caddero nelle mani di Autari. Il nuovo re longobardo con il
suo editto nel 1643 promulgò una serie di leggi, secondo i bisogni del tempo,
di ben 388 articoli che sostituirono la ”cadarfreda”. Ceneda divenne così un
ducato tra i primi istituiti in Italia.
A proposito Basilio Sartori, nel suo libro
“Signor d’antica terra”, citando il Marson asserisce che, sulle testimonianze
di precedenti autori, ucciso il duca del Friuli Gisulfo dagli Avari, Ceneda
diventa il centro di un potente Ducato comprendente anche le
"sculdascie" di Belluno e Feltre, formando un antemurale prima dal
Piave al Tagliamento, poi fino al Meduna e Livenza per la successiva
reintegrazione del ducato del Friuli sotto Geraulfo, fratello del duca estinto.
Anche lo storico Paolo Diacono sembra confermare questa tesi.
Tra i duchi più importanti spiccano alcuni
nomi come Teudemar, Agimuald e, come ci ricorda lo storico di CividalePaolo
Varnefrido, detto Paolo Diacono (nato poco dopo il 720), il noto Orso di
Ceneda, fratello di Pietro di Cividale e figlio del leggendario “Munichis”,
uomo valoroso, del quale si dice che, dopo essere stato disarcionato e dopo che
uno degli Slavi subito le corse addosso legandogli le mani con una fune, questi
presa la lancia dalla mano dello slavo, con le mani legate, lo colpì con quella
e, ancora legato, fuggì.
L’insediamento longobardo all'inizio fu
limitato a nord dalle forze bizantine che da Oderzo si spingevano verso la zona
bassa della Valbelluna ed è qui che l'esercito longobardo incentrò stanziamenti
militari, disponendo torri di avvistamento, spesso riadattando con fortilizi le
precedenti che si ergevano sulle vie che conducevano alla Valbelluna, per
l'appunto come quella di Revine Trichiana e Limana. Queste torri che servivano
per avvistare il nemico e comunicare con le proprie forze armate, vennero
durante il medioevo feudale governate da schieramenti opposti. A questa rete
fortificata si può ricondurre il fortilizio "Castro novo" di Tarzo
Corbanese, il fortilizio "CastrumCostae" di Gai Tovena Cison e lo
"Spaldum Frasconi" di Revine. Quest’ultimo, situato a quota 450 m.,
ai piedi del monte Frascon all'inizio della mulattiera, non è il solo: infatti,
risalendo la mulattiera si giunge all'imponente torre di Castel Maor, a quota
720 m., che ha un basamento di ben 250 mq. e sembra eretta appositamente per
controllare l'opposta fortificazione del Marcantone, meta della leggenda di
Santa Augusta.
Quanto detto ci viene in parte confermato da
Giovanni Pinadello che, parlando di Ceneda, ci fa sapere:
Alla venuta poi
de' Longobardi in Italia, ella fu da loro ristorata, o di nuovo fabricata et
governata. Doppo i quali tornando sotto l'Imperio romano fu concesso il dominio
di essa dall'imperatore nel temporale ancora a i vescovi cenedesi circa gli
anni 740 insieme con tutto il suo distretto che conteneva Zumele, Valmarino,
Conigliano, Serravalle, Fregona, Regenzuolo, Cordignano, Cavolano et Forminica.
Della qual giurisdizione temporale sendone il vescovo di Ceneda spogliato da i
Berengarii ch'occuparono per un pezzo l'imperio, gli fu di nuovo da Ottone
imperatore restituita intorno agli anni 780, concedendo l’investitura di essa
et di tutto il cenedese col mero e misto Imperio a Sicardo vescovo di Ceneda.
Dal qual tempo
quand'ella è stata sotto i suoi vescovi e quando sotto i Trivigiani, da' quali
si sottrasse insieme con Conigliano del 1153, ritornando sotto a i vescovi sino
all' anno 1180 ch'ella si diede protettionea' Padovani insieme con Conigliano.
Andò poi Ceneda sotto il Vescovo di Belluno quasi subito et nel 1183 in circa
furono da Federico p°. Imperatore confirmati al vescovo di Ceneda i suoi
privilegii separandola dalla giurisdittione di Trivigi, et da ogn'altra se bene
poi gl'istesso anno Cenedesi prestarono abedienza a, Trivigiani, si come fecero
ancora del 1199 che poco prima s’erano
da quelli discostati, ma ritornarono di nuovo in libertà insieme con
coneglianesi del 1233 dandosi subito in protettione de' Padovani.
Fu poi grandemente
travagliato il cenedese da Federico 2° imperatore et da Ezzelino da Romano il
quale l’anno 1242 lo consumò quasi tutto.
Tra il VII-VIII sec. nasce la diocesi di
Ceneda. Infatti, il duca di Ceneda, Teudemar, espose al re Liutprando il
desiderio del clero cenedese di avere un proprio vescovo, dopo la fuga di
quello opitergino e, verosimilmente, chiese per il neo eletto gran parte della
circoscrizione diocesana di Oderzo.
Lo svolgimento delle trattative, poi, proseguì
secondo una prassi che può considerarsi normale in quei tempi. Il re, che
controllava, è vero, le attività della Chiesa, ma non voleva far vedere
d’intromettersi direttamente nella delicata questione della nomina d'un
vescovo, si limitò a concedere l'autorizzazione a procedere e girò la faccenda
al competente patriarca d'Aquileia, Giovanni, affinché provvedesse
"secondo i sacri canoni". Le trattative, cui alluse il documento col
termine "collocutiones", dovettero essere brevi, ma abbastanza tese,
considerando il seguito della contesa sui confini diocesani.
Tuttavia, per il momento, il patriarca se la cavò
con un compromesso, nominando, sì, il primo vescovo, Valentiniano, ma non
concedendogli tutte le parrocchie dovute. E fu così che “il distretto
opitergino” venne ricostruito nuovamente e concesso al vescovo successore
Massimo nel 743, e anche le terre di Revine Lago rimasero ancora sotto la
diocesi di Ceneda.
Tra il 744 e l’888 i Franchi di Carlo Magno
discesero in Italia e vinsero l’ultimo re longobardo Desiderio; nel 794 Ceneda
fu elevata alla dignità di Contea con il Vescovo Dolcissimo. Successivamente,
nel 903, gli Ungari provenienti da Friuli scesero a devastare le nostre terre
incendiando Ceneda, ma risparmiando Serravalle meglio fortificata. Il Papa
chiama a combattere gli Ungari l’imperatore di Sassonia, re di Germania Ottone
I, che nel 952 restituisce i feudi al Vescovo di Ceneda Sicardo.
Dopo
l’anno Mille il susseguirsi dei contrasti feudatari portò all’istituzione dei
Comuni nel XII secolo.
Ceneda dopo essere passata ai Trevigiani, ai
Caminesi, ai Vescovi, poi ancora ai Trevigiani e agli Scaligeri passò ai
Veneziani. In questo periodo ci fu un susseguirsi di aspri eventi, tra i quali
voglio ricordare solo una notizia che riguarda Revine: si tratta di una
terribile scomunica, avvenuta l’11 Luglio del 1283, lanciata dal vescovo Marco
da Fabiano ai conti di S. Martino Bialo e Gelo, che avevano barbaramente
devastato le case ed il castello posti sul monte Frascone.
Tarzo e Revine nel 1300 andarono a far parte
della Contea Vescovile di Ceneda e mentre Tarzo rimase sotto l'egida del
vescovo conte, che vi esercitava la reggenza diretta fino al 1769, avvalendosi
del diritto ad un'autonoma di gestione del territorio nella contea vescovile
fino al 1769, Revine manteneva la sua comunità separata da quella di Lago, che
dipendeva direttamente da Serravalle, la quale, a sua volta, era sotto il
controllo della Serenissima.
In
questo periodo si ebbe una crescita sociale ed economica fino a quando, con il
trattato di Campoformido, tutta la zona rimase sotto l'impero Asburgico e nel
1866, con la terza guerra di indipendenza, finalmente entrambi i paesi
entrarono a far parte del regno d'Italia. Con il Regio Decreto n. 4453 del
14/VI/1868 si stabilì la fusione di Revine e Lago che divennero l’odierno
Comune.
Nell’ottocento, con l’organizzazione e la
realizzazione dei nuovi collegamenti stradali, si ebbe una nuova crescita
sociale ed economica specialmente con l’agricoltura, la viticoltura e la
bachicoltura; poi con l’avvento dell’industria avvenne un primo esodo
emigratorio.
Come abbiamo
visto, le due entità storiche ed urbanistiche che contribuirono a creare la
città di Vittorio Veneto furono Ceneda e Serravalle che nella seconda metà
dell’ottocento videro nascere alcuni quartieri adiacenti alla strada che le
collegava, creando così nuove esigenze..
Vittorio Veneto
fu fondata il 27 settembre 1866, per l’appunto, con l'unione di Ceneda e Serravalle e assunse il nome di
"Vittorio" il 22 novembre 1866 in onore
del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II. All’inizio il suo nome era solo "Vittorio",
"Veneto" fu aggiunto più tardi nel 1923 assieme al titolo di città.
Allo
scoppio della prima guerra mondiale. Iniziò per queste zone un periodo tra i
più difficili, funestato da epidemie e miseria e cambiamenti sociali che
portarono alla militarizzazione.Dopo una lunga
serie di inconcludenti battaglie, la vittoria degli austro-tedeschi nella battaglia
di Caporetto dell'ottobre/novembre 1917 fece arretrare il fronte
fino alle rive del fiume Piave,
dove la resistenza italiana si consolidò; l'ultima grande offensiva sferrata dagli
austriaci nel corso della guerra svanì davanti alla valorosa resistenza dei
soldati italiani che infranse contro la linea nemica del Piave, da cui
l'esercito austriaco uscì quasi distrutto. Offensiva nota come "battaglia
del solstizio", nome dato dal noto poeta soldato Gabriele D'Annunzio. Fin
dal 1918 gli austriaci pianificarono una massiccia offensiva sul fronte italiano,
da sferrare all'inizio dell'estate, per raggiungere il fiume Po. La battaglia
fu molto violenta con numerose perdite italiane, circa 90.000 uomini. Fu
l’ultima possibilità del nemico viste le disastrose condizioni sociali ed
economiche in cui versava l'Impero austriaco. Dalla battaglia del Solstizio,
infatti, trascorsero solo quattro mesi prima della vittoria finale dell'Italia
a Vittorio Veneto. Infatti il 23 ottobre del 1918 l'esercito italiano,
supportato da un piccolo contingente di truppe alleate, si lanciò all'offensiva
presso le “Grave di Papadopoli”. Lo
sfondamento all’inizio fu bloccato dall'ingrossamento del fiume Piave in piena che
travolse le passerelle gettate e non permise di passare; ma dopo aver
attraversato il Piave, il XXIV Corpo d'armata al comando del generale Enrico
Caviglia liberò Vittorio Veneto, avanzò in direzione di Trento, e mandò la
cavalleria all'inseguimento del nemico in ritirata. Il 28 ottobre fu proclamata
l'indipendenza della Cecoslovacchia, con conseguente disfacimento
dell'Austria-Ungheria, che il 29 ottobre chiese la resa. La
decisiva controffensiva di Vittorio Veneto e alla rotta delle
forze austro-ungariche, sancì così la stipula del noto armistizio di Villa Giusti del
3 novembre 1918 e la fine delle ostilità, che costarono al popolo italiano
circa 650.000 caduti e un milione di feriti.
Dopo il periodo fascista, si ripresentò
nuovamente il fenomeno dell’emigrazione e la gente ricominciò a ripartire verso
i centri dell'Italia settentrionale ed i paesi esteri.
Successivamente, con il secondo conflitto
mondiale, la lunga stagione della Resistenza, vide le montagne e le colline di
Vittorio Veneto il naturale rifugio dei partigiani, in un continuo susseguirsi
di scontri e rastrellamenti. Ancora una volta, la città si contraddistinse, combattuta tra il 1939 ed il
1945. Il comune di Vittorio Veneto è stato, infatti, premiato con la medaglia
d'oro al valore militare per aver resistito venti mesi combattendo sul Piave.
Vittorio Veneto, dipinto di Lucio
Tarzariol da Castello Roganzuolo 35x50,
olio su tela
Vittorio Veneto, Fadalto "Ai dodese pont" dipinto di Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo 70x80 olio su tela
Cosa visitare a Vittorio Veneto:
- I musei civici
- Guide dei musei
- Museo del Cenedese
- Oratorio dei SS. Lorenzo e Marco della Confraternita
di S. Maria dei Battuti di Serravalle
- Museo della Battaglia di Vittorio Veneto
- Galleria civica di arte medievale, moderna e
contemporanea "Vittorio Emanuele II"
- Museo del baco da seta
- Palazzo Minucci-De Carlo
- Museo diocesano di Arte Sacra "Albino
Luciani"
- Museo di scienze naturali "Antonio De
Nardi"
- Museo della Cattedrale
- Museo di geologia
In alto antica spada greca
del IV sec. a.C