Sinossi
In questa ricerca Lucio Tarzariol, assieme ad Alessandra Zambon, nipote diretta del “Capitano Monti” alias Jakov Josifovič Džugašvili Stalin, mette in evidenza l’oscura vicenda della doppia identità del partigiano russo morto in Italia fra le colline di Treviso nel 1945. Nello specifico, oltre a raccontare la vicenda storica partigiana accaduta fra le colline di Treviso, viene trattato, attraverso ricerche inedite, testimonianze e interviste, il fondato e sconvolgente sospetto di uno scambio di identità servito da alibi per fuggire a Jakov Džugašvili, il figlio maggiore di Stalin, ufficialmente creduto morto in Germania, ma in realtà fuggito in Italia sotto il nome di Giorgi Dimitris dze Varazashvili, conosciuto tra le fila partigiane con il nome di “Capitano Monti”. Anche molti russi credono che Jakov, il figlio maggiore di Stalin, non sia morto in prigionia tedesca, come si è voluto far credere per anni, ma sia fuggito in Italia; del resto, come credeva la sua stessa figlia, Galina, è probabile che i tedeschi per i loro scopi propagandistici presentassero al mondo un doppione di Jakov, e avrebbero portato avanti la loro tesi avendo semplicemente trovato solo i documenti personali di Jakov, che dalle testimonianze pare se ne fosse liberato prima dell’arresto da parte dei tedeschi. Non a caso: “la bara arida del morto da Sachsenhausen arrivò a Berlino, ma poi scomparve misteriosamente e, con lui, le ultime tracce di Jakov Džugašvili”. Tra l’altro la sopra citata ipotesi è conforme ai risultati recentemente diffusi dai sovietici. Molte le vicende, le testimonianze, i fatti e le recenti prove che portano a pensare che il “Capitano Monti” sia stato in realtà proprio Jakov Džugašvili, figlio naturale di Stalin; dalla scomparsa del corpo nel cimitero di Tovena, alle varie testimonianze raccolte da chi gli era vicino, dai rastrellamenti nazifascisti e dalle visite dell’ambasciata russa in casa dell’allora fidanzata Paola Liessi, con lo scopo e l’intento di portargli via il figlio che aveva concepito con il capitano “Monti”, e non per ultimo la scomparsa dei fascicoli riguardanti lo stesso Monti a Roma, al quale fu concessa anche la medaglia al valor militare. Ancora l’intervista alla RAI a Svetlana, figlia di Stalin, sospesa a metà, l’incredibile somiglianza del capitano “Monti” e la sua discendenza con la famiglia Stalin, senza trascurare i tratti caratteriali del “Monti” che combaciano perfettamente con quelli di Jakov. Non dimentichiamo poi questa ricerca con i nuovi risvolti, che mi ha portato a identificare le persone rappresentate nella misteriosa foto che il capitano “Monti” teneva nel portafoglio rinvenuto nella sua salma dopo la sua morte; persone che sono affettivamente legate a Jakov Stalin e alla sua famiglia. Come ho ben documentato da comparazioni e foto fatte nel medesimo luogo e tempo; nonché la constatazione, tramite documentazione fotografica, che al capitano “Monti” non mancava alcuna falange al dito indice come invece è evidenziato nella sua biografia presente nel dizionario georgiano.
Tutto ciò e tanto altro porta a supporre che la vera identità di Jakov Stalin abbia continuato ad esistere nella figura del “Capitano Monti”, “Giorgi Dimitris dze Varazashvili”, fino alla sua morte nel 1945, tra le colline di Vittorio Veneto e Tarzo. Ma la sua discendenza tuttora continua a esistere in quanto il capitano “Monti”, come già accennato, tessé una relazione amorosa con la trevigiana Paola Liessi, e pochi mesi dopo la sua morte nacque, come già detto, suo figlio, che prese il nome di Giorgio Zambon, il quale dedicò parte della sua difficile esistenza alla ricerca della vera identità del padre, fu sposato con la cugina Enia Liessi, viaggiò in Russia, contattò enti istituzionali e politici alla ricerca di informazioni che non trovò mai; infine ebbe una figlia, Alessandra Zambon, che in questo libro mette in evidenza i ricordi e le difficoltà di una famiglia che ancora non ha sciolto la matassa ed i nodi della sua oscura discendenza, quella che molto probabilmente è la “discendenza di Stalin in Italia”.
Testimonianze, sospetti, interviste e ricordi tessono un puzzle che pare avere una sola logica. Io e Alessandra abbiamo raccolto il pensiero di storici che si sono interessati al caso e presentiamo gli ultimi risvolti arricchiti di nuove indagini e di nuove prove fotografiche e documentali che testimoniano la veridicità, le criticità e i dubbi del fatto preso in considerazione. Questa collaborazione ha prodotto un eclatante risultato più vicino alla realtà dei fatti. La notizia pare essere ben fondata e documentata, tutto torna su un'unica “logica”: il capitano “Monti”, “prima volutamente e poi erroneamente” identificato in “Giorgi Dimitris dze Varazashvili”, era in realtà Jakov Džugašvili, figlio maggiore di Stalin, ed era in Italia fin dal luglio del 1944; tessé una relazione con Paola Liessi da cui nacque il piccolo Giorgio “un discendente di Stalin in Italia”. Il necessario esame del DNA sarebbe l’ultima prova fondante e definitiva a chiarire questa incredibile e intricata vicenda che ha fatto discutere i giornali per anni. Dulcis in fundo, le ultime prove fotografiche e l’inedita dichiarazione su uno scambio di piastrina di Jakov Džugašvili, cosa evidenziata nella lettera inedita di Bartolomeo De Zorzi, personaggio appartenente ai servizi segreti italiani, inviata nel 1988, prima di morire, a Giorgio Zambon, figlio del Capitano Monti – dalla quale si evince che lo stesso Capitano Monti era in realtà Jakov Džugašvili, il figlio di Stalin, e doveva essere catturato vivo dai nazifascisti.
Sintesi delle prove, con i nuovi risvolti sul caso “Monti”
Nuove prove fondamentali:
1. La foto ritrovata nel portafoglio del Monti, recuperata sulla sua salma, nella cella mortuaria del cimitero di Vittorio Veneto. Foto che, come ho comprovato, è strettamente legata solo a Jacov Džugašvili e alla famiglia Stalin;
2. Il “Monti” aveva tutte le dita, per cui non poteva essere Giorgio Vorazoscyiliy al quale mancava una falange del dito, come risulta nella sua biografia georgiana;
3. La dichiarazione di Bartolomeo De Zorzi, dei servizi segreti, che prima di morire spedì una lunga lettera a Giorgio Zambon, figlio del “capitano Monti”, precisando nello specifico l’avvenuto scambio di piastrina di Jakov.
4. Tutte le numerose testimonianze
La falange del dito che dovrebbe mancare al capitano “Monti,” non mancava
Le prove sono chiare: in due foto che rappresentano il capitano Monti in tenuta da partigiano, che di recente mi sono capitate fra le mani, consultando la documentazione in possesso della nipote del Monti, Alessandra Zambon, ho notato che aveva tutte le dita delle mani, mentre nella biografia di Giorgio Vorazoscyiliy (nome italianizzato) tratta dal dizionario georgiano, che ho tradotto in italiano, è riportato chiaramente che gli mancava l’ultima falange del dito indice della mano destra, e in questa biografia si diceva anche che, nonostante questo handicap, riuscì a realizzare interessanti sculture.