sabato 2 luglio 2016

Storia di Vittorio Veneto a cura dell'Artsta internazionale e bibliofilo, Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo



Vittorio Veneto e le sue origini
A cura di Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo

“I Meschet” di Vittorio Veneto, dipinto di Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo 100x80, intonachino

Quando parliamo di Vittorio Veneto, in altri termini ci dobbiamo riferire a Serravalle e Ceneda. Serravalle, o meglio l'antica “Castrum”, è un complesso fortificato medioevale probabilmente di origine romana che fu ricostruito dai Da Camino nel XIII secolo ed ospitò poi i Podestà della Repubblica di Venezia..
 La vicina Ceneda, l'antica "Keneta", probabilmente di origine celtica, fu nominata come città già dallo storico Agathias nel IV secolo d.C., fu probabilmente sede di una "praefectura" dipendente da Oderzo, quindi un insediamento di retrovia nella fase espansiva della Roma del primo secolo d.C.. Questo centro fu comunque dotato quasi sicuramente di edifici pubblici, di una zona produttiva lungo il Meschio, di un bagno pubblico e forse di un teatro, localizzabili nei pressi dell'attuale Duomo.
 Sulla sommità del retrostante colle di San Paolo, su un preesistente castelliere paleoveneto, era localizzato, come testimoniano tracce di un pavimento musivo, il ridotto difensivo ovvero l’"arx" romana.
 Ceneda, era comunque parte di quella terra che diventerà l'antica diocesi di Opitergium; i cui territori veneti nella suddivisione italica in epoca augustea appartenevano alla X Regio della tribù Papiria. Infatti Plinio e Tolomeo ascrivono Belluno, Oderzo e Feltre a questa Regio; nel 43 a.C. Augusto, riorganizzando i domini romani, suddivise la penisola in 11 regioni e “le Venezie” formarono per l’appunto la decima regio.
 Da alcune documentazioni si rileva che "l'Agro Opitergino" è un territorio confinante a Nord con il Feltrino ed il Bellunese, ad Est con Concordia e Aquileia, a Ovest con Asolo e l'Altinate e a Sud con il Mare; del resto è logico che con la realizzazione della Postumia Oderzo ebbe ulteriori spazi a nord; e ancora di più li ebbe con la realizzazione della Claudia Augusta Altinate, iniziata già dal generale romano Druso, che sottomise le popolazioni alpine e danubiane nel I secolo d.C.; successivamente la via fu completata dal figlio di Druso, l’Imperatore Claudio, verso la metà del secolo. Lo confermano indiscutibilmente due pietre miliari: un cippo di Rablà/Rabland, rinvenuto nel 1552 nei pressi di Merano (BZ), e ora conservato presso il Museo Civico di Bolzano, e un altro cippo con la stessa iscrizione rinvenuto nel 1786 a Cesiomaggiore presso Feltre (BL), e conservato in loco presso la settecentesca Villa Tauro alle Centenère, la cui iscrizione ci dice:

Ti[berius] Claudius Drusi f[ilius]
Caesar Augustus Germa
nicuspontifexmaxu
mustribuniciapotesta
te VI co[n]s[ul] IV imp[erator] XI p[ater] p[atrie]

censorviamClaudiam
AugustamquamDrusus
pater Alpibus bello pate
factisderex[e]ratmunit ab
Altino usque ad flumen
Danuvium m[ilia] p[assuum] CCCL

 Così tradotto: “Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, figlio di Druso, pontefice massimo, insignito della tribuniciapotestas per la sesta volta, console per la quarta, imperatore per l'undicesima, padre della patria, censore, la Via Claudia Augusta, che il padre Druso, aperte le Alpi con la guerra, aveva tracciato, munì da Altino fino al fiume Danubio per miglia CCCL”.
 Luigi Marson in “Romanità e divisione dell’agro cenetense” 1904, pag. 71, ricorda che a Ceneda furono “rinvenute dei tempi romani, tombe, cippi, lapidi e altri oggetti, tra cui una pietra che servì di muratura sepolcrale rinvenuta ai Zambòn, negli scavi della ferrovia nel 1879, con epigrafe dell’imperatore Claudio e colla distanza da Roma, e ora - afferma il Marson - si può vedere affissa esternamente sul muro della casa dott. F. Pancotto”, ex casa dott. Carlo Graziani.
 Diviene perciò logico pensare che già in epoca romana esistessero lungo il confine delle postazioni strategiche di vigilanza e segnalazione per le retrovie, per l'appunto "torri di guardia", come le tre fortezze di Revine Castel Maor sito nel “Pra de Palath”, Salt del Casin con la sua tipica base rastremata romana sito sopra S. Francesco, il Castello di Monte Frascon, e molte altre rocche del circondario come quelle di S. Augusta e quella S. Floriano dove sulla facciata di settentrione si possono scorgere addirittura mattoni romani timbrati OF, come ci ricorda il Vital in “Romanita nel territorio di Conegliano” pag. 40; inoltre anche il Marson nella sua “Guida di Vittorio”, pag. 34, a conferma, ci parla anche del ritrovamento di alcune monete dell’Imperatore Vespasiano proprio alla base della torre.
 Queste terre erano indubbiamente percorse dai Romani; una notizia che ci giunge da Marco Anneo LucanoCordova di Roma nel 65 d.C., afferma che Cesare nel 46 a. C., vincitore a Farsalo, assegnò agli opitergini alleati contro Pompeo ben 300 centurie di terreno, di circa 150 Kmq verso le montagne.
 Quanto detto viene chiaramente confermato molto più tardi anche nellAgri TarvisiniDescriptio del 1583 da Giovanni Pinadello: "Viene Uderzo per lo più da i scrittori antichi chiamato latinamente Opitergium, come si vede in Plinio nel 18 capo del terzo libro, che lo ripone nei mediterranei della Regione Veneta per essere sino allora atterrata la lacunada quella parte; parimente da Tolomeo nelle sue tavole geografiche viene posto dentro a’ terra con l’istesso nome et ne l’istessa provincia. Cornelio Tacito parimente cosi lo nomina nel 19° libro dell’Historie. Ma Strabone poi come io credo con Fr. Leandro lo chiama Epiterpum, ingannandosi per aventura l’Ortelio dicendo che Epiterpo da Strabone nominato fosse dentro le paludi di Ravenna. Che questa città fosse a’tempi antichi nel lito del mare et che tenesse armata di mare ne fa amplo testimonio Lucano nella “Guerra Farsalica”, Cesare ne’ suoi “Commentarii” et Lucio Floro ne gli “Epitomi”, appresso i quali si ha, che nella guerra civile tra Cesare et Pompeio, havendo  gl’opitergini mandate le loro navi con mille huomeni in aiuto di Cesare, et andando le cose molto prospere a Pompeio, volsero più tosto ch’andar nelle mani di Pompeo da se stessi uccidersi. Giace hora Uderzo tra la Piave et la Livenza lungi dal mare circa dodici miglia, per la più breve, se bene Fr. Leandro dice più di 30 et è discosto da Trivigi per Garbino circa 13 miglia (standogli Trivigi quasi per apunto dalla parte di Garbino, cioè giustamente tra mezo dì et ponente). Da Venetia poi che è posta al mezo dì nell’istesso meridiano si discosta sino 22 miglia, le quali crescono poi alquanto nel far il viaggio. Et è bagnato dal fiume Montegano, detto da Fr. Leandro Mutego, che discendendo da i colli di Ceneda va a sboccare nella Livenza alla Motta. Ha patito tante calamità Uderzo, che non è meraviglia s’hoggidì è ridotto in picciola terra: perché come alcuni scrittori dicono fu egli prima rovinato da Pompeiani nellaguerra con Cesare, dal qual Cesare fu poi ristorato, et assignatogli le sue confine tra i fiumi Piave et Taiamento et tra i monti che furono detti Opitergini (l’autore si riferisce ai montes opitergini ciati da Plinio), et il mare, et da quel tempo in qua fu governato da prefetti cesarei sino alla venuta d’Attila in Italia, che lo prese et distrusse del 453.
 Basilio Sartori nel suo libro “La Valle Lapisina, tra storia e leggenda”, pag. 29, a ragione, sostiene che i Romani per rendere sicuri i passi alpini orientali nel 181 a.C. fondarono Aquileia, non dimenticando i valichi delle Prealpi cenedesi, altrettanto vitali per la sicurezza della regione e delle grandi vie di comunicazione, e, per garantirsi l’aiuto di Roma contro i “nemici della montagna”, i Veneti parteciparono alla lotta contro Cartagine, la soccorsero durante l’invasione dei Galli, diedero per l'appunto, una mano a Cesare contro Pompeo, che pur impegnato a fondo nella campagna delle Galie, aveva distolto una delle sue prestigiose legioni per inviarla in loro soccorso.
Io credo si possa ipotizzare che Cesare Augusto sia stato probabilmente colui che fece costruire le prime fortificazioni romane intorno al 15 a.C. per controllare le popolazioni ostili del Norico, cioè del Cadore, e fu ciò che portò all'espansione dell'agro opitergino, tanto che verso il 20- 30 d.C. l’imperatore ampliò addirittura il presidio militare cenedese allargandolo di lato per un quadrato di circa 10 Km, che aveva per angoli attorno Ceneda i paesi di Fregona, Tarzo, Conegliano e Cordignano, uniti tra loro dalla "centuriazione claudia", che originò successivamente, per l'appunto, “l'agro cenedese”. Basilio Sartori azzarda ipotizzare la costruzione delle prime fortificazioni di Serravalle addirittura al tempo di Giulio Cesare, intorno al 46 a.C., mentre vede il “Castrum” sorgere più tardi in difesa di Ceneda, al tempo di Ottaviano Augusto, tra il 15 e l’8 a.C., quando mandò i suoi generali Druso e Tiberio a sottomettere definitivamente a Roma le genti alpine. Infatti, è anche vero che il Marson in “Romanità e divisione dell’agro cenetense”, parla di ritrovamenti di monete a partire dal tempo di Cesare a quello degli ultimi Imperatori.
versi seguenti dellAgri TarvisiniDescriptio di Giovanni Pinadello: "Ha Serravalle il territorio molto ameno et fertile compartito in pianura e in collina, che produce in abbondanza formento, vino, oglio delicato, et frutti d'ogni sorte, et vi sono in esso molti laghetti di chiare acque, ch'apportano diletto et utile per i pesci che vi si pescano, si come si fa ancora nel fiume Meschio che ne produce d'ottimi.
 Et sono in questo territorio 16 ville et luoghi soggetti sotto il reggimento di Serravalle, cioè Lago, Vizza, Fadale, Fais, Rindola, S. Martino, Pinadello, Gai, Castel, S. Fior, Capella, Usigo, Danzan, Fregona già buon castello et feudo del vesc. di Ceneda."
 Citando poi Ceneda del suo tempo riferisce: “Il territorio hora soggetto a Ceneda è di 14 miglia di circuito et è molto ameno ed abondante di formento e d’ogni sorte de frutti, et contiene dentro di se queste cinque ville cioè S. Giacomo, Carpesega, Cozzuolo, S. Lorenzo e Ruine et oltre di ciò è soggetto nel temporale all’istesso vescovo il contado di Tarzo….”.
 Riferendosi alle antiche fortezze sulle cime circostanti scrive:
"Serravalle è buona terra due miglia sopra Ceneda nei confini del Bellunese, che gli sta da tramontana et del Friuli, che dall'oriente lo risguarda. Questa terra doppo le venute che fecero le straniere nationi de’ Gothi, Ongheri et Longobardi nel Friuli et nella regione Veneta, fu edificata fra due monti nel fondo della valle che viene da essa serrata et chiusa dicendosi per ciò Serravalle, sopra i quali due monti furono già alcune rocche o fortezze et torri, per salvezza de' paesani ne' bisogni che hoggidì sono rovinate".
 Questa città afferma detto Cinthio, che fosse edificata da i populi latini, che vennero con le colonie, mandatevi dal senato romano ad instantia degl'ambasciatori aquileiesi sotto il triumvirato di Tito Annio Lusco, Pub. Decio Subulo et M. Cornelio Ceteo. Fu prima questa città sotto l'Impero Romano, et fu una volta dominata da Marcello romano capitano de cavalli imperiali, ch'era conte di essa et insieme di Feltre e di Belluno; ma alla venuta d’Attila in Italia, che distrusse Aquileia et tutta quasi la provincia di Venetia del 453, alcuni vogliono che Veneda fosse ben danneggiata da gl'Hunni, ma non altrimenti distrutta, altri vogliono poi ch'ella fosse con l'altre città distrutta et che ritornata in esser fosse poi un'altra volta da Totila, overo dal padre d'esso, habitando l'uno et l'altro in Trevigi, rovinata.
 A tal proposito mi sento di collegare ai ricordi diCinthio un appunto del Marson a pag. 73 di “Romanità e divisione dell’agro cenetense”, dove parla di un’iscrizione romana d’un certo Marcello letta in una lapide trovata, per l’appunto, nella Via di Anzano e illustrata dal Carnielutti.
 Con l’avvento della giurisdizione aquileiese, il territorio ad essa attribuito comprendeva una ventina di vescovadi in Italia ed un'altra decina oltre le Alpi. Durante il V secolo, Alarico cinse d'assedio Aquileia per ben due volte 401-402 e 408 ed Attila la saccheggiò nel 452.
Alla discesa dei Goti le nostre terre non rimasero indenni, infatti, ad esse è legata la leggenda della martire serravallese S. Augusta, il cui culto fu ufficializzato solamente nel 1754.
 Augusta era la figlia di Matrucco, condottiero al seguito di Alarico re dei Visigoti, Odi Manducco, padre di Totila, per altri, invece, era al seguito dell'ostrogoto Teodorico.
 La leggenda rievoca nell’immaginario gli antichi eventi e le contese che vi possono essere stati allora tra i signori dei castelli; infatti, non a caso il Castello di Catena Amor sembra dominare strategicamente il Marcatone, la collina di Santa Augusta e di conseguenza “il castello di re Madre” che appariva frontalmente innanzi il muraglione del castello che tutt'ora resiste alla rovina.
 Le prime notizie comunque sono solo delle citazioni, infatti, in un manoscritto del 1234 viene citato il “Mons Sanctae Augusta”, il che fa ipotizzare che questo toponimo fosse già usato da tempo dalle popolazioni locali, inoltre nello statuto serreavallese del 1360 si dice che il santuario di santa Augusta ed il suo culto vantano origini antichissime ed è in quello stesso periodo che fu rinvenuta un’arca lapidea con le ossa della martire.
 Più dettagliate notizie furono redatte solo intorno al XVI secolo da Minuccio de’ Minucci di Serravalle, segretario di papa Clemente VIII (1592-1605); le stesse furono inserite nel vol. VII dell’edizione dei volumi “De Probatis Sanctorum Historiis” di Lorenzo Surio, certosino e agiografo tedesco (1522-1578) stampata a Colonia in Germania.
 Il testo "Vita di Santa Augusta" edito nel 1550, basato per l’appunto su un testo precedente, fu ripreso nel 1754 da un certo Andrea della stessa casata; entrambi sostengono che Santa Augusta fosse figlia del capo goto Matrucco, che secondo lo storico Graziani sta per “Mand-Huk”, che significherebbe capo del popolo; egli, dopo aver conquistato e sottomesso tutto il Friuli, giunto nei pressi dell'attuale Vittorio Veneto al seguito di Alarico, nel 410 si stabilì su un colle, il Marcantone, sul quale fece costruire un castello e da lì iniziò a perseguitare i cristiani della vicina Ceneda. Infatti, in quel periodo, è noto che nel Cenedese esistessero alcune chiese cattoliche, dato che ne sono stati trovati dei resti, e probabilmente sono le stesse chiese che furono frequentate, come dice il Minucci, da Augusta.
 Re Matrucco sospettando che sua figlia fosse stata iniziata al cristianesimo dalla sua balia Cita e constatato che frequentava assiduamente la chiesa, la interrogò a riguardo, ma visto che lei si ostinava a difendere la sua fede senza indugio, la fece imprigionare per un certo periodo. In seguito le chiese se avesse cambiato idea, ma avendo lei negato le fece strappare due denti e la rinchiuse di nuovo in prigione, aspettando che si arrendesse alle torture e tornasse alla religione dei suoi avi. Dopo un certo tempo re Matrucco, vista la tenacia e l’ostinazione della figlia che non si piegava al suo volere, prese la decisione di bruciarla viva, ma, secondo la tradizione, ella uscì dalle fiamme illesa, cosicché si narra che venne legata ad una ruota e fatta rotolare da una collina. Rimase ancora illesa e, non avendo riscontrato ferita alcuna, fu barbaramente decapitata. Non si conosce la data precisa della sua morte, si accenna all'anno 410, ma secondo Andrea Minucci tale data non pare affatto attendibile, infatti fa riferimento solo ad una pietra seicentesca posta sul santuario della santa.
 Non bisogna dimenticare che questa Santa fu chiamata anche “Augusta da Ceneda”, ed etimologicamente non a caso ricorda il nome Augusto/a che significa “consacrato”; esso fu anche un nome comune usato spesso per onorare l’imperatore romano Augusto; come lo è per l’appunto l’antica “Via Claudia Augusta Altinate” che partiva da Altino (VE) ed incrociava la Postumia, anch'essa una Via romana che traversa Treviso nord, risaliva la riva sinistra del fiume Piave nei pressi di Susegana, passava sotto San Gallo, prendeva la valle del fiume Soligo e raggiungeva Follina e poi i nostri passi per la Valbelluna.
 Curiosa anche la teoria del Marson, sempre in “Romanità e divisione dell’agro cenetense”, che a pag. 72/73, ricordando le similarità con S. Casilda e il culto della Dea Bona, probabile reminiscenza del culto di Marte e di S. Martino, il noto centurione di Costantino, sostiene un influsso romano sul culto paleoveneto di una divinità agreste, la ricorrenza della festa coinciderebbe con l’antico ingresso del sole nella costellazione della Vergine, nel mese che assume il nome da Augusto, sotto il quale potrebbe essersi regolata la festa, ed è naturalmente provato che in quel tempo stesse avvenendo una transizione dal culto pagano al culto cristiano.
 Dopo le devastazioni di Attila e dei suoi Unni, la responsabilità di assicurare lo sviluppo civile e culturale di Aquileia venne assunto dalla Chiesa. Successivamente vi passò Teodorico e, nel 489, ci fu la battaglia con Odoacre. Seguirono l'occupazione bizantina nel 552.
 Nel lungo periodo di queste invasioni barbariche, Ceneda è più volte conquistata, ma mai definitivamente distrutta, soprattutto per la sua posizione strategica che diventa spesso rifugio e sede stabile degli stessi invasori. Già fortificata da Teodorico, fu poi piazzaforte avanzata dei Franchi attestati sulle Alpi nel VI secolo ed è a questo punto, secondo lo storico Agathias, che il loro re Leutari muore di malattia proprio nel suo castrum di Ceneda nel 553.
 Le fortificazioni romane, comprese quelle di Revine, costruite a catena prima per uno stesso sistema difensivo, con l’arrivo dei barbari si trovarono in contrapposizione e ben presto la resistenza bizantina nelle rocche del M. Frascon dovettero tener testa anche ai Longobardi di Alboino, scesi nel 568 a occupare Ceneda, Feltre e Belluno. Ci riuscirono per più di 30 anni, anche perché versarono loro un tributo annuo in oro.
 Il popolo longobardo, che era già conosciuto dai Romani al tempo di Augusto e Tiberio 5 d.C., come ci ricordano le narrazioni di VelleioPatercolo (storico romano degli inizi del I. sec. d.C.), senza grandi strategie scese in Italia consapevole che gli italici non erano contenti dei Bizantini per le esose gabelle dei loro funzionari. I Longobardi inoltre sapevano che la milizia bizantina era scarsa, non poteva opporsi ad una vera invasione e per natura quei pochi Ostrogoti rimasti, essendo in fondo germanici come loro, si sarebbero uniti contro i Bizantini.
 I Longobardi tra il 568 ed il 773 stabiliscono nelle terre acquisite un Ducato che va dal Piave al Tagliamento; infatti, nel 639, a completare la conquista veneta dei Longobardi, anche Zumelle, Mel, Serravalle e Revine caddero nelle mani di Autari. Il nuovo re longobardo con il suo editto nel 1643 promulgò una serie di leggi, secondo i bisogni del tempo, di ben 388 articoli che sostituirono la ”cadarfreda”. Ceneda divenne così un ducato tra i primi istituiti in Italia.
 A proposito Basilio Sartori, nel suo libro “Signor d’antica terra”, citando il Marson asserisce che, sulle testimonianze di precedenti autori, ucciso il duca del Friuli Gisulfo dagli Avari, Ceneda diventa il centro di un potente Ducato comprendente anche le "sculdascie" di Belluno e Feltre, formando un antemurale prima dal Piave al Tagliamento, poi fino al Meduna e Livenza per la successiva reintegrazione del ducato del Friuli sotto Geraulfo, fratello del duca estinto. Anche lo storico Paolo Diacono sembra confermare questa tesi.
 Tra i duchi più importanti spiccano alcuni nomi come Teudemar, Agimuald e, come ci ricorda lo storico di CividalePaolo Varnefrido, detto Paolo Diacono (nato poco dopo il 720), il noto Orso di Ceneda, fratello di Pietro di Cividale e figlio del leggendario “Munichis”, uomo valoroso, del quale si dice che, dopo essere stato disarcionato e dopo che uno degli Slavi subito le corse addosso legandogli le mani con una fune, questi presa la lancia dalla mano dello slavo, con le mani legate, lo colpì con quella e, ancora legato, fuggì.
 L’insediamento longobardo all'inizio fu limitato a nord dalle forze bizantine che da Oderzo si spingevano verso la zona bassa della Valbelluna ed è qui che l'esercito longobardo incentrò stanziamenti militari, disponendo torri di avvistamento, spesso riadattando con fortilizi le precedenti che si ergevano sulle vie che conducevano alla Valbelluna, per l'appunto come quella di Revine Trichiana e Limana. Queste torri che servivano per avvistare il nemico e comunicare con le proprie forze armate, vennero durante il medioevo feudale governate da schieramenti opposti. A questa rete fortificata si può ricondurre il fortilizio "Castro novo" di Tarzo Corbanese, il fortilizio "CastrumCostae" di Gai Tovena Cison e lo "Spaldum Frasconi" di Revine. Quest’ultimo, situato a quota 450 m., ai piedi del monte Frascon all'inizio della mulattiera, non è il solo: infatti, risalendo la mulattiera si giunge all'imponente torre di Castel Maor, a quota 720 m., che ha un basamento di ben 250 mq. e sembra eretta appositamente per controllare l'opposta fortificazione del Marcantone, meta della leggenda di Santa Augusta.
 Quanto detto ci viene in parte confermato da Giovanni Pinadello che, parlando di Ceneda, ci fa sapere:
 Alla venuta poi de' Longobardi in Italia, ella fu da loro ristorata, o di nuovo fabricata et governata. Doppo i quali tornando sotto l'Imperio romano fu concesso il dominio di essa dall'imperatore nel temporale ancora a i vescovi cenedesi circa gli anni 740 insieme con tutto il suo distretto che conteneva Zumele, Valmarino, Conigliano, Serravalle, Fregona, Regenzuolo, Cordignano, Cavolano et Forminica. Della qual giurisdizione temporale sendone il vescovo di Ceneda spogliato da i Berengarii ch'occuparono per un pezzo l'imperio, gli fu di nuovo da Ottone imperatore restituita intorno agli anni 780, concedendo l’investitura di essa et di tutto il cenedese col mero e misto Imperio a Sicardo vescovo di Ceneda.
 Dal qual tempo quand'ella è stata sotto i suoi vescovi e quando sotto i Trivigiani, da' quali si sottrasse insieme con Conigliano del 1153, ritornando sotto a i vescovi sino all' anno 1180 ch'ella si diede protettionea' Padovani insieme con Conigliano. Andò poi Ceneda sotto il Vescovo di Belluno quasi subito et nel 1183 in circa furono da Federico p°. Imperatore confirmati al vescovo di Ceneda i suoi privilegii separandola dalla giurisdittione di Trivigi, et da ogn'altra se bene poi gl'istesso anno Cenedesi prestarono abedienza a, Trivigiani, si come fecero ancora  del 1199 che poco prima s’erano da quelli discostati, ma ritornarono di nuovo in libertà insieme con coneglianesi del 1233 dandosi subito in protettione de' Padovani.
 Fu poi grandemente travagliato il cenedese da Federico 2° imperatore et da Ezzelino da Romano il quale l’anno 1242 lo consumò quasi tutto.
 Tra il VII-VIII sec. nasce la diocesi di Ceneda. Infatti, il duca di Ceneda, Teudemar, espose al re Liutprando il desiderio del clero cenedese di avere un proprio vescovo, dopo la fuga di quello opitergino e, verosimilmente, chiese per il neo eletto gran parte della circoscrizione diocesana di Oderzo.
 Lo svolgimento delle trattative, poi, proseguì secondo una prassi che può considerarsi normale in quei tempi. Il re, che controllava, è vero, le attività della Chiesa, ma non voleva far vedere d’intromettersi direttamente nella delicata questione della nomina d'un vescovo, si limitò a concedere l'autorizzazione a procedere e girò la faccenda al competente patriarca d'Aquileia, Giovanni, affinché provvedesse "secondo i sacri canoni". Le trattative, cui alluse il documento col termine "collocutiones", dovettero essere brevi, ma abbastanza tese, considerando il seguito della contesa sui confini diocesani.
 Tuttavia, per il momento, il patriarca se la cavò con un compromesso, nominando, sì, il primo vescovo, Valentiniano, ma non concedendogli tutte le parrocchie dovute. E fu così che “il distretto opitergino” venne ricostruito nuovamente e concesso al vescovo successore Massimo nel 743, e anche le terre di Revine Lago rimasero ancora sotto la diocesi di Ceneda.
 Tra il 744 e l’888 i Franchi di Carlo Magno discesero in Italia e vinsero l’ultimo re longobardo Desiderio; nel 794 Ceneda fu elevata alla dignità di Contea con il Vescovo Dolcissimo. Successivamente, nel 903, gli Ungari provenienti da Friuli scesero a devastare le nostre terre incendiando Ceneda, ma risparmiando Serravalle meglio fortificata. Il Papa chiama a combattere gli Ungari l’imperatore di Sassonia, re di Germania Ottone I, che nel 952 restituisce i feudi al Vescovo di Ceneda Sicardo.
Dopo l’anno Mille il susseguirsi dei contrasti feudatari portò all’istituzione dei Comuni nel XII secolo.
 Ceneda dopo essere passata ai Trevigiani, ai Caminesi, ai Vescovi, poi ancora ai Trevigiani e agli Scaligeri passò ai Veneziani. In questo periodo ci fu un susseguirsi di aspri eventi, tra i quali voglio ricordare solo una notizia che riguarda Revine: si tratta di una terribile scomunica, avvenuta l’11 Luglio del 1283, lanciata dal vescovo Marco da Fabiano ai conti di S. Martino Bialo e Gelo, che avevano barbaramente devastato le case ed il castello posti sul monte Frascone.
 Tarzo e Revine nel 1300 andarono a far parte della Contea Vescovile di Ceneda e mentre Tarzo rimase sotto l'egida del vescovo conte, che vi esercitava la reggenza diretta fino al 1769, avvalendosi del diritto ad un'autonoma di gestione del territorio nella contea vescovile fino al 1769, Revine manteneva la sua comunità separata da quella di Lago, che dipendeva direttamente da Serravalle, la quale, a sua volta, era sotto il controllo della Serenissima.
In questo periodo si ebbe una crescita sociale ed economica fino a quando, con il trattato di Campoformido, tutta la zona rimase sotto l'impero Asburgico e nel 1866, con la terza guerra di indipendenza, finalmente entrambi i paesi entrarono a far parte del regno d'Italia. Con il Regio Decreto n. 4453 del 14/VI/1868 si stabilì la fusione di Revine e Lago che divennero l’odierno Comune.
 Nell’ottocento, con l’organizzazione e la realizzazione dei nuovi collegamenti stradali, si ebbe una nuova crescita sociale ed economica specialmente con l’agricoltura, la viticoltura e la bachicoltura; poi con l’avvento dell’industria avvenne un primo esodo emigratorio.
Come abbiamo visto, le due entità storiche ed urbanistiche che contribuirono a creare la città di Vittorio Veneto furono Ceneda e Serravalle che nella seconda metà dell’ottocento videro nascere alcuni quartieri adiacenti alla strada che le collegava, creando così nuove esigenze..
Vittorio Veneto fu fondata il 27 settembre 1866, per l’appunto, con l'unione di Ceneda e Serravalle e assunse il nome di "Vittorio" il 22 novembre 1866 in onore del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II. All’inizio il suo nome era solo "Vittorio", "Veneto" fu aggiunto più tardi nel 1923  assieme al titolo di città.
Allo scoppio della prima guerra mondiale. Iniziò per queste zone un periodo tra i più difficili, funestato da epidemie e miseria e cambiamenti sociali che portarono alla militarizzazione.Dopo una lunga serie di inconcludenti battaglie, la vittoria degli austro-tedeschi nella battaglia di Caporetto dell'ottobre/novembre 1917 fece arretrare il fronte fino alle rive del fiume Piave, dove la resistenza italiana si consolidò; l'ultima grande offensiva sferrata dagli austriaci nel corso della guerra svanì davanti alla valorosa resistenza dei soldati italiani che infranse contro la linea nemica del Piave, da cui l'esercito austriaco uscì quasi distrutto. Offensiva nota come "battaglia del solstizio", nome dato dal noto poeta soldato Gabriele D'Annunzio. Fin dal 1918 gli austriaci pianificarono una massiccia offensiva sul fronte italiano, da sferrare all'inizio dell'estate, per raggiungere il fiume Po. La battaglia fu molto violenta con numerose perdite italiane, circa 90.000 uomini. Fu l’ultima possibilità del nemico viste le disastrose condizioni sociali ed economiche in cui versava l'Impero austriaco. Dalla battaglia del Solstizio, infatti, trascorsero solo quattro mesi prima della vittoria finale dell'Italia a Vittorio Veneto. Infatti il 23 ottobre del 1918 l'esercito italiano, supportato da un piccolo contingente di truppe alleate, si lanciò all'offensiva presso le “Grave di Papadopoli”. Lo sfondamento all’inizio fu bloccato dall'ingrossamento del fiume Piave in piena che travolse le passerelle gettate e non permise di passare; ma dopo aver attraversato il Piave, il XXIV Corpo d'armata al comando del generale Enrico Caviglia liberò Vittorio Veneto, avanzò in direzione di Trento, e mandò la cavalleria all'inseguimento del nemico in ritirata. Il 28 ottobre fu proclamata l'indipendenza della Cecoslovacchia, con conseguente disfacimento dell'Austria-Ungheria, che il 29 ottobre chiese la resa. La decisiva controffensiva di Vittorio Veneto e alla rotta delle forze austro-ungariche, sancì così la stipula del noto armistizio di Villa Giusti del 3 novembre 1918 e la fine delle ostilità, che costarono al popolo italiano circa 650.000 caduti e un milione di feriti.
 Dopo il periodo fascista, si ripresentò nuovamente il fenomeno dell’emigrazione e la gente ricominciò a ripartire verso i centri dell'Italia settentrionale ed i paesi esteri.

 Successivamente, con il secondo conflitto mondiale, la lunga stagione della Resistenza, vide le montagne e le colline di Vittorio Veneto il naturale rifugio dei partigiani, in un continuo susseguirsi di scontri e rastrellamenti. Ancora una volta, la città si contraddistinse, combattuta tra il 1939 ed il 1945. Il comune di Vittorio Veneto è stato, infatti, premiato con la medaglia d'oro al valore militare per aver resistito venti mesi combattendo sul Piave.

Vittorio Veneto, dipinto di Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo 35x50,
olio su tela


Vittorio Veneto, Fadalto "Ai dodese pont" dipinto di Lucio Tarzariol da Castello Roganzuolo 70x80 olio su tela





Lucio Tarzariol, altri dipinti di Vittorio Veneto

Cosa visitare a Vittorio Veneto:























In alto antica spada greca del IV sec. a.C